si continua a meditare, sulle cose.
avevo letto un libro, negli anni ’70, del quale in realtà ora ricordo solo il titolo: La morte della famiglia, di David Cooper.
e questo titolo è quello che mi è venuto in mente questi giorni, riflettendo su alcune cose. sparita la famiglia d’origine (la mia proprio fisicamente, ma comunque se ne esce, ed è necessario superarla ed uscirne) ne creiamo un’altra, o più, che poi si distruggono nel tempo. i figli, sì, ma anche loro hanno poi la loro strada, a volte drasticamente e anche dolorosamente diversa da quella che percorriamo noi.
e poi, le famiglie dell’anima: i compagni dell’università, i compagni di viaggio…pare che non se ne possa fare a meno, della famiglia, quando dei legami tra più persone si stringono di più li chiamiamo così, famiglia…..e pare che almeno queste famiglie siano/debbano essere eterne, magari in mutazione, questo si ammette, ma comunque una roccia, presenti lì.
ma non è vero. la famiglia è morta, come diceva quel titolo di quel libro ingiallito lì su uno scaffale.
ciascuno ha la sua vita, cose buone e cose no.la vita è così, c’è stato un magnifico periodo insieme, di gioco e scoperte e cene e amori, e poi è finito. è rimasto un bel ricordo, un affetto di fondo, che si riattiva blandamente quella volta o due all’anno in cui ci si vede, ma niente di più, alla fine. la vita ci porta e ci porta via.
ti attacchi ai ricordi, a quello che era, all’affetto che ti trafigge al pensiero di quanto era bello, ma guardi anche indietro, e fai il conto delle volte in cui loro non c’erano, quando stavi bene o quando stavi male, delle volte in cui tu non c’eri, non ti avevano detto niente, quando stavano bene o quando stavano male.
guardo, osservo, e finalmente mi sembra di capire la solitudine che in fondo ci è propria, che è la cosa più stabile e concreta, nonostante tutti i tentativi di esorcizzarla, domarla, cambiarla. e capendo accetto. forse sto interiorizzando davvero anche questo, di concetto, e dopo non ne soffrirò più.
solitudine, poi, non so, ha un suono brutto, e invece io non voglio in questo contesto dare alla parola un significato negativo. è un fatto, di per sè è neutro, il fatto di avere proprio fisicamente, e quindi mentalmente, un dentro di noi ed un fuori, dei confini delimitati dal nostro corpo, che conservano quello che è dentro, nostro, che servono da contatto e da porta con tutto quello che è fuori da noi, ma che in qualche modo per ciò stesso è altro da noi.
e questo rendersi conto della nostra unicità, della nostra esistenza come singola persona, del nostro valore di singolarità, di somma di esperienze diversa da quella di chiunque altro, è in fondo un darsi valore, un porsi coraggiosamente di fronte al mondo, un entrare in contatto senza necessità di fusione, se non per brevi momenti. non è necessario che ci sia di più, o che sia comunque permanente. va dato valore alla propria singolarità, affezionarcisi, curarla, fare quello che è bene per lei, per darle armonia. dando la mano agli altri, ma con attenzione, consci del fatto che prima o poi lasceremo la mano, o saremo lasciati, quando sarà giusto per noi, per l’altro, per il rispetto del poco tempo che abbiamo sulla terra.
bisogna capirlo bene, interiorizzarlo, in modo da viverlo senza traumi, senza stress, e quindi lasciar andare, quando è ora. a volte per noi può essere troppo presto, ma magari per l’altro è ora, o viceversa. che sia un’amica, un amante, un gruppo di amici. basta con l’accanimento terapeutico. così è più empatico, credo. più giusto.
le esperienze entrano in me, si sedimentano, poi entrano in ebollizione, e cambiano la mia forma, e poi ad un tratto è come se avessi capito davvero, in senso proprio etimologico, e riuscissi a sentire in un altro modo, migliore, più aderente alla realtà della vita. forse sto crescendo, un po’ a scatti, forse, ma mi sembra una buona strada…..
d’accordo per il valore della “propria singolarità”, ma della (altrettanto) propria singletudine o solitudine che chiamar si voglia, ne farei volentieri a meno. con buona pace della mia crescita personale, Anima!
mah, sai, cristina, in definitiva anche a me piacerebbe avere un compagno, ma in effetti a questo punto da una parte credo di aver bisogno di spazio, sono rimasta costretta molto a lungo, e dall’altra non è facile trovare qualcuno che sia adatto a me, e io a lui. vorrei un compagno, sì, un uomo con il quale condividere pensieri e passeggiate, e abbracci e calore. ma pare che sia difficile.
Siamo donne con passati diversi, con futuri diversi, ma in comune abbiamo un presente fatto di noi stesse, da costruire e scoprire ancora, e non ci accontentiamo in questo percorso di aver di fianco un uomo purchè sia.
vero, pipù, è così….
Sì, solitudine come singolarità, guarda che vale anche in una vita di famiglia…. Almeno per me, non ne faccio una colpa a nessuno, è un tratto della mia personalità. Io con la solitudine sapessi che valzer ci ho fatto!
ps. mi hai fatto schiantare oggi su Zauber!!